Intervista a Bruna di SA.SE.F
Mi chiamo Bruna,
Sono in pensione da circa otto anni e mezzo. Il primo anno, come tanti, cercavo di mantenermi attiva: facevo lunghe passeggiate sulla Martesana ogni giorno, per tenermi in forma. È stato un incontro casuale, ma importante: ho conosciuto Ambrogio Manenti, presidente dell’associazione, che mi ha parlato della necessità di volontari. Si trattava, apparentemente, di una mezza giornata a settimana. Solo dopo ho capito che quella “mezza giornata” era, in realtà, di riposo! Da lì ho iniziato a collaborare.
All’inizio eravamo in pochi, e io mi occupavo soprattutto del turno medico. Non sono né un medico né un’infermiera, quindi svolgevo principalmente un lavoro di segreteria: compilazione delle schede, raccolta dei dati anagrafici, gestione della parte organizzativa.
Dopo un anno, il Comune ha chiuso la scuola di italiano, lasciando un vuoto importante. Così abbiamo deciso di partire con qualche corso improvvisato, tra noi volontari. Era tutto molto semplice, chi voleva imparare l’italiano veniva e partecipava. Ma con il tempo le richieste sono aumentate in modo esponenziale.
Per farti capire: in una fase iniziale tenevamo due lezioni contemporaneamente, una in una stanza e una nell’altra. Io insegnavo con 8-9 mamme e 5 bambini nella stessa aula. A volte non riuscivo nemmeno a chinarmi per raccogliere un pennarello da terra, talmente era pieno lo spazio.
Poi è arrivata la pandemia. Ovviamente non potevamo più stare in 15 persone in uno stanzino. Abbiamo cercato di continuare online, con molta fatica. Io non sono un’insegnante, e insegnare qualcosa che non è il tuo mestiere, soprattutto a una certa età, non è semplice.
Finita l’emergenza sanitaria, abbiamo ricevuto un grande aiuto dagli oratori. L’oratorio San Giuseppe ci ha dato un’aula fissa, e all’occorrenza una seconda e persino una terza. L’oratorio San Marco ci mette a disposizione il salone, e dall’anno prossimo anche San Maurizio ci offrirà uno spazio.
Oggi possiamo dire che la nostra realtà è cresciuta moltissimo: quest’anno abbiamo superato i 150 studenti, con 20 insegnanti volontari e 22 corsi attivi.
La richiesta è altissima. Le persone ci trovano soprattutto attraverso il passaparola. Ieri, per esempio, è arrivato un ragazzo appena arrivato in Italia: tre giorni fa. Durante l’iscrizione, ci serviamo anche del colloquio iniziale per valutare la conoscenza della lingua, in modo da inserire ciascuno nel livello più adatto. Abbiamo cinque livelli di italiano attivi.
E devo dire che in questi anni ci siamo guadagnati la fiducia della comunità. All’inizio era tutto molto più fragile, ci conoscevano in pochi. Ma oggi, grazie all’impegno costante e alla dedizione, siamo diventati un punto di riferimento per tante persone.
Nei primi anni era complicato anche solo sapere come si chiamavano.
Alla domanda "Come ti chiami?", la risposta era spesso: "Mio cugino si chiama...". E dovevo insistere: "Sì, ma tu, come ti chiami?". Ci pensavano su, avevano paura.
Così mi ero inventata uno stratagemma: gli dicevo "Dammi pure un nome falso, non importa, l’importante è che sia sempre quello". Perché se un giorno vai dal medico e ti chiami Filippo, non puoi tornare il giorno dopo e dire che ti chiami Giovanni.
Oggi le cose sono cambiate: entrano con il passaporto in mano. Questo significa che, in questi anni, ci siamo guadagnati la loro fiducia.
Se potessi cambiare qualcosa con una bacchetta magica? Be’, sicuramente avremmo bisogno di più risorse, di più soldi.
Lo so, è brutto dirlo, ma tutto gira attorno a quello.
Abbiamo una padrona di casa fantastica che ci ha già ridotto l’affitto due volte, e si fa carico anche di alcune spese ordinarie. Ma ogni mese siamo lì a fare i conti: riusciremo a pagare la bolletta del telefono?
In teoria avremmo bisogno anche di uno spazio più grande, ma per ora dobbiamo arrangiarci.
Come ci finanziamo?
In gran parte con l’autofinanziamento.
Noi soci mettiamo qualcosa in più del nostro. Spesso le piccole spese escono direttamente dai nostri portafogli, non dalla cassa dell’associazione.
Abbiamo una tessera da 25 euro l’anno, che pagano sia i soci che i volontari, e serve anche a coprire l’assicurazione obbligatoria: siamo un ETS, un Ente del Terzo Settore, e per legge dobbiamo essere tutti assicurati.
Fino all’anno scorso, una ditta ci sosteneva con 30 euro all’anno: poco, ma tutto aiuta. Avevamo anche una convenzione con un centro di accoglienza finanziato dallo Stato, che ci permetteva di organizzare corsi di italiano.
Due insegnanti andavano a insegnare gratuitamente: uno era Rosalba, che andava a Brugherio; poi è subentrato Maner, a Sesto. Questo contributo ci portava quasi 2.000 euro l’anno.
Poi lo Stato ha tagliato i fondi a quel centro, e la convenzione è finita. Ma i nostri insegnanti non si sono tirati indietro: hanno continuato a insegnare gratuitamente, fino a portare i ragazzi all’esame. Quei 2.000 euro, però, non ci sono più.
Per questo, da quest’anno, mandiamo una newsletter mensile — cosa che prima non facevamo — per chiedere aiuto economico.
Ma capisco che è difficile: la prima volta ti aiutano, la seconda ti ascoltano, la terza rischi che ti dicano “basta”.
In un momento storico così complicato, in cui tutti devono fare sacrifici, a rimetterci sono sempre gli ultimi.
E adesso, con il referendum, si parla di cittadinanza.
Per avere la cittadinanza italiana, bisogna dimostrare una conoscenza della lingua italiana a livello B1.
Ma se davvero togliessimo la cittadinanza a tutti gli italiani che non hanno quel livello di italiano... temo che ne resterebbero pochi.
Nel tempo, ci siamo reinventati continuamente.
Con il COVID, siamo diventati quasi assistenti sociali: abbiamo aiutato decine e decine di persone, anche senza documenti, a vaccinarsi.
Il primo caso di COVID che ci ha toccato era un nostro studente senza cittadinanza né permesso di soggiorno.
Ricordo che chiamai in Comune: “Cosa devo fare?”. Dopo una giornata mi richiamò il comandante della polizia locale e mi disse: “Dobbiamo risolvere un problema sanitario, non fare la caccia alle streghe”.
Da lì, grazie alla collaborazione con realtà più grandi come la Casa della Carità, siamo riusciti a vaccinare molte persone non in regola.
Era un lavoro enorme: dovevano venire qui tre volte, ricevere codici via SMS, tornare, confermare… il tutto per avere un appuntamento in centro a Milano per la vaccinazione. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Io faccio quello che serve.
C’è chi si specializza — come Nina, che oggi si occupa delle iscrizioni scolastiche — e chi fa tutto.
Prima mettevo in ordine l’armadio dei farmaci in ordine alfabetico. Quando è arrivata un’infermiera, ha guardato e mi ha detto: “Cos’è questa roba?”. Ora se ne occupa lei, con molto più criterio.
Nina è diventata bravissima con le scuole. In Italia, l’istruzione è obbligatoria fino ai 16 anni, anche per chi non ha i documenti. Ma c’è sempre il gioco dello “scaricabarile”: se una famiglia abita al confine tra due distretti scolastici, nessuno vuole prendersi la responsabilità. Nina allora chiama entrambe le scuole. E se nessuno si prende la competenza, si va dai carabinieri. Poi magicamente, la scuola si trova.
Con le superiori è più difficile: non essendo più in obbligo, i posti sono pochi e noi non abbiamo strumenti legali per far valere i diritti degli studenti.
Però, piano piano, qualcosa si muove: con l’Istituto Leonardo da Vinci siamo riusciti ad avviare una buona collaborazione. Ora qualche studente lo inseriamo anche a anno già iniziato.
La nostra prima studentessa si è diplomata l’anno scorso. Ci ha mandato una lettera bellissima: “Grazie a voi mi sono diplomata”.
Per mandarla alle superiori ci abbiamo messo due anni. Oggi ci mettiamo meno.
E poi c’è il problema della casa.
A Cologno chiedono 550 euro per una stanza in un trilocale, con bagno e cucina in condivisione, tutto rigorosamente in nero. È una situazione insostenibile.
E non è solo un problema di Cologno. È un problema diffuso.
E cercare, se c'è la volontà, di regolarizzare davvero chi è in difficoltà.
Alla fine, tutto si riduce a questo: se davvero si volesse risolvere un problema, i mezzi ci sarebbero. Ma bisogna volerlo.